Infelicità senza
desideri è il titolo di un romanzo di Peter Handke che non ho
mai letto, nonostante stia lì su una delle quattro librerie di
questa casa, ma è anche l'espressione più precisa per
definire il mio stato d'animo. Anzi, il mio non-stato d'animo. La
morte di un genitore è sempre un evento difficile da
metabolizzare, ma, e non sono la prima a scriverlo, ciò che
più pesa è l'improvvisa assenza di un polo dialettico
importante. Adesso che non ho più nessuno a cui dover
dimostrare qualcosa, non riesco a fare progetti, seppure minimi, ad
esempio cosa fare domani, o dopodomani, perfino stasera. Certo,
esco di casa, vado al lavoro, ad esempio ieri la riunione preliminare
è stata interessante, e questi esami di stato non saranno
stomachevoli come avevo immaginato, però non è affatto
un caso che abbia avvertito fin da subito un sentimento di stima e interesse
nei confronti del presidente della commissione, o che continuo a sognare, mio malgrado,
la persona che più di ogni altra negli scorsi anni ha rappresentato
per me un surrogato della figura paterna.
Aspetterò la fine
del mio incarico, e poi l'unica cosa che mi viene in mente è
mettermi ferma in un angolo ad aspettare che finiscano tutti i soldi.
Forse da qualche parte in agguato c'è una bella depressione,
ma mi va bene così, l'ho detto all'inizio, infelicità
senza desideri, ecco come sto. Da qualche parte ho letto che se la
situazione si protrae per oltre sei mesi dopo l'evento luttuoso,
allora vuol dire che non l'ho superato e che bisogna intervenire in
qualche maniera. Diciamo che dopo tre settimane è ancora tutto
pienamente ascrivibile a una situazione di normalità.
Diciamo che non sono
affatto interessata a ciò che potrà accadere nella mia
vita più in là delle prossime tre ore.
| inviato da
hooverine il 19/6/2007 alle 14:43 | |